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Ha preso il via il Programma di Intervento e Prevenzione dell’Istituzionalizzazione (P.I.P.P.I.) – “Sostegno alle capacità genitoriali e prevenzione della vulnerabilità delle famiglie e dei bambini”, finanziato dall’Unione europea – NextGenerationEU – PNRR M5C2- 1.1.1.
La co-progettazione P.I.P.P.I. (Programma di Intervento e Prevenzione dell’Istituzionalizzazione – “Sostegno alle capacità genitoriali e prevenzione della vulnerabilità delle famiglie e dei bambini”), finanziata dall’Unione europea – NextGenerationEU – PNRR M5C2-1.1.1, ha un obiettivo importante: supportare bambine, bambini e famiglie che si trovano in situazioni di vulnerabilità e fragilità, e le cui risorse educative, relazionali o materiali sono limitate, rafforzando le capacità genitoriali.
È in quest’ottica che si stanno svolgendo incontri rivolti ai genitori delle famiglie coinvolte nel progetto PIPPI: non lezioni frontali, ma gruppi di aiuto, di ascolto e di supporto in cui possono trovare uno spazio in cui anche confrontarsi tra loro. Questi incontri per genitori sono tenuti e condotti dalla pedagogista, la Dott.ssa Claudia Basso e la psicologa, la Dott.ssa Chiara Catini, con il supporto della psicologa, la Dott.ssa Melissa Picchini.
A queste figure si affianca anche il Dott. Amedeo Angelozzi, pedagogista, educatore esperto e formatore CVM, che insieme alle altre professioniste fa parte dell’équipe incaricata di accompagnare i genitori in questo percorso.
Per approfondire l’argomento, tanto delicato quanto importante, abbiamo intervistato il Dott. Angelozzi, proprio in merito all’importanza di una genitorialità consapevole e a ciò che accade quando i genitori si incontrano... SEGUE
Ha preso il via il Programma di Intervento e Prevenzione dell’Istituzionalizzazione (P.I.P.P.I.) – “Sostegno alle capacità genitoriali e prevenzione della vulnerabilità delle famiglie e dei bambini”, finanziato dall’Unione europea – NextGenerationEU – PNRR M5C2- 1.1.1.
La co-progettazione P.I.P.P.I. (Programma di Intervento e Prevenzione dell’Istituzionalizzazione – “Sostegno alle capacità genitoriali e prevenzione della vulnerabilità delle famiglie e dei bambini”), finanziata dall’Unione europea – NextGenerationEU – PNRR M5C2-1.1.1, ha un obiettivo importante: supportare bambine, bambini e famiglie che si trovano in situazioni di vulnerabilità e fragilità, e le cui risorse educative, relazionali o materiali sono limitate, rafforzando le capacità genitoriali.
È in quest’ottica che si stanno svolgendo incontri rivolti ai genitori delle famiglie coinvolte nel progetto PIPPI: non lezioni frontali, ma gruppi di aiuto, di ascolto e di supporto in cui possono trovare uno spazio in cui anche confrontarsi tra loro. Questi incontri per genitori sono tenuti e condotti dalla pedagogista, la Dott.ssa Claudia Basso e la psicologa, la Dott.ssa Chiara Catini, con il supporto della psicologa, la Dott.ssa Melissa Picchini.
A queste figure si affianca anche il Dott. Amedeo Angelozzi, pedagogista, educatore esperto e formatore CVM, che insieme alle altre professioniste fa parte dell’équipe incaricata di accompagnare i genitori in questo percorso.
Per approfondire l’argomento, tanto delicato quanto importante, abbiamo intervistato il Dott. Angelozzi, proprio in merito all’importanza di una genitorialità consapevole e a ciò che accade quando i genitori si incontrano.
Qual è il tuo ruolo all’interno di PIPPI, di cosa ti sei occupato principalmente?
Sono stato coinvolto nel progetto all’interno di un’équipe sperimentale, nata dall’idea di portare una presenza più stabile nel contesto scolastico, dato che PIPPI di per sé non la prevede. A Fermo, infatti, si è deciso di avviare circa quattro anni fa un’équipe psicopedagogica composta da una psicologa-psicoterapeuta, un assistente sociale e da me in qualità di pedagogista.
Ci interfacciamo con gli insegnanti, cerchiamo di essere presenti e aiutarli a leggere alcune situazioni che si presentano, facciamo formazione per saper cogliere quelle che potrebbero essere situazioni di fatica delle famiglie, per lavorare sulla prevenzione.
Successivamente sono stato inserito in altri ambiti: nella coprogettazione, nella conduzione di gruppi genitori e poi nella formazione vera e propria. Ho fatto il corso per formatori PIPPI e attualmente curo questo aspetto, in particolare nella formazione degli insegnanti, per cercare di sensibilizzarli quanto più possibile, in modo da creare una rete capace di cogliere alcuni aspetti su cui PIPPI lavora.
In cosa consistono i gruppi per genitori?
Uno dei dispositivi che PIPPI prevede è il gruppo genitori: un gruppo che raduna le coppie genitoriali o i singoli inseriti nel progetto e crea uno spazio di confronto alla pari. Nello specifico, va a rafforzare il protagonismo, la partecipazione attiva dei genitori all’interno del percorso di accompagnamento che PIPPI propone.
Questi incontri avvengono fuori dalla scuola. I cicli di PIPPI durano diciotto mesi e coinvolgono un certo numero di famiglie, in genere, al massimo 15. Oltre all’educativa domiciliare e al percorso di accompagnamento, viene proposto loro uno spazio di confronto, ascolto reciproco e approfondimento.
È un lavoro sulla genitorialità, perché si prevede un coinvolgimento attivo delle persone inserite nel progetto. Sono i genitori stessi a raccontare le fatiche, i bisogni del minore, poi vengono sostenuti perché tirino fuori quelle che sono delle risorse assopite o non riconosciute. Lo spazio genitori ha questo scopo: non fornire strumenti esterni, ma creare un confronto tra adulti per rafforzarli nella loro genitorialità.
La parola chiave del progetto PIPPI è “prevenzione”: prevenzione per quel che riguarda la dispersione scolastica, le diseguaglianze sociali… Dal tuo punto di vista, che sei a contatto diretto con le famiglie, qual è oggi la situazione? Quali sono i temi che emergono con maggiore frequenza nel confronto con i genitori?
Le richieste e i bisogni che manifestano sono quelli condivisibili con la maggior parte dei genitori: la gestione delle regole, la capacità di sapersi interfacciare con i propri figli attraverso una comunicazione efficace, la gestione di internet e dei social. Sono preoccupazioni e fatiche comuni.
Vi è poi un senso di peso interiore, una sofferenza silenziosa che accumuna tanti genitori: la sensazione, e la paura, di essere inadeguati nel proprio ruolo genitoriale, poco capaci, unita alla percezione di essere i soli che stanno affrontando sfide che, in realtà, sono spesso condivise e diffuse. Sopraggiunge, poi, la difficoltà nel gestire comportamenti come l’oppositività o l’aggressività dei figli, che spesso sono espressione indiretta e riflesso di difficoltà legate alla situazione familiare che vivono e a una difficoltà nel comunicare i propri bisogni e le proprie incertezze. Di fronte a tutto questo, i genitori possono sentirsi da un lato privi di strumenti adeguati, dall’altra possono sperimentare, in sottofondo, profondi sensi di colpa per le condizioni che si trovano ad affrontare.
Quindi la richiesta che viene avanzata è quella di essere sostenuti: “come posso fare per?”.
E questo riguarda un po’ tutti i genitori, non solo quelli rientranti nella progettualità PIPPI.
Proprio per questo una delle questioni chiave riguarda il bisogno forte e condiviso di creare uno spazio di confronto, ma più ampio. Luoghi in cui i genitori possono interagire con altri genitori, anche al di fuori del progetto, in modo da dare anche alle famiglie PIPPI la possibilità di confrontarsi il più possibile con altre esperienze.
È perciò corretto affermare che confronto tra genitori può favorire una genitorialità più consapevole?
Sì, perché lavoriamo innanzitutto sull’ascolto autentico delle persone, sull’accoglienza dei loro vissuti e sulla condivisione delle esperienze. In questi spazi, si uniscono fatiche, ma anche piccole strategie quotidiane, che vengono guardate da un altro punto di vista.
Spesso i genitori non riescono a cogliere le potenzialità, “senza riuscire a riconoscere le piccole strategie che saprebbero già mettere in atto. Questo può dipendere da modalità comunicative poco funzionali ai bisogni del minore, da paure personali, dalla scarsa elaborazione del proprio vissuto educativo, oppure dalla difficoltà di ascoltare il figlio a causa di condizioni precarie nella propria vita adulta, nella coppia o nella famiglia. In questi casi è d’immenso aiuto ascoltare l’esperienza altrui e avere delle persone che ti accompagnano.
Come si svolgono gli incontri per genitori?
Gli incontri con i genitori avvengono in un contesto condiviso, perché si valorizza la dinamica di gruppo: si creano relazioni nuove, ci si sostiene reciprocamente, si impara ad ascoltare l’esperienza dell’altro e a non rimanere bloccati nelle proprie difficoltà. Poi, naturalmente, PIPPI ha anche altri dispositivi, come le équipe minime (EM), dove il genitore si confronta direttamente con l’educatore domiciliare, l’assistente sociale e altre figure professionali. In quel caso c’è un lavoro più mirato verso la famiglia che viene coinvolta e resa protagonista. Ma nei gruppi, invece, ci si concentra maggiormente sulla dimensione relazionale, perché l’ottica di PIPPI è anche creare una rete di sostegno intorno alla famiglia stessa. Per far sì che ciò accada, è necessario fare in modo che quella rete si allarghi e che i genitori abbiano l’opportunità di sperimentare e potenziare le proprie competenze relazionali in contesti diversi. Inoltre, quando un genitore racconta una difficoltà – ad esempio la gestione dell’atteggiamento oppositivo di un figlio, o la difficoltà nel comprenderne i bisogni – spesso altri si riconoscono in quella esperienza. Vedere che un genitore condivide la tua stessa inadeguatezza, scoprire che insieme è possibile elaborare strategie, permette di recuperare un’immagine più fiduciosa e serena della propria genitorialità. Nel confronto, si mettono in comune vissuti ed esperienze e si acquista una sorta di creatività nuova che aiuta a vivere il proprio ruolo educativo in maniera positiva.
Cosa accade, nei genitori, man mano che partecipano agli incontri?
L’esperienza che ci hanno portato le operatrici degli anni passati è quella di aver visto partecipare con entusiasmo anche le famiglie più sprovviste di strumenti educativi. Famiglie che hanno partecipato non come semplici utenti in difficoltà, ma come genitori alla ricerca di uno spazio in cui prendersi cura di sé. I genitori riescono a vivere un luogo, uno spazio, in cui poter percepire il proprio essere genitore in maniera diversa, non più dal punto di vista problematico, ma dal punto di vista delle risorse già presenti, da poter mettere in campo, o che sono già state messe in campo ma di cui non si conosceva la ricchezza.
Anche tra i genitori che hanno meno strumenti sul piano educativo si è vista una partecipazione attiva, come a volersi dire: “Io sono genitore, io ho qualcosa da dire”. Erano presenti a tutti gli incontri. Questi sono segnali positivi, significa che da parte loro c’è l’intenzione di mettercela tutta, di sentirsi responsabili della loro genitorialità, della loro scelta, anche di fronte a una difficoltà nel gestirla. Ed è per questo motivo che sono stati inseriti nel progetto PIPPI, nel progetto di prevenzione.
Qual è la sfida educativa più grande al giorno d’oggi per un genitore?
La sfida non è tanto nella regola – nel “come far rispettare le cose”. L’educazione è proprio una relazione: come entri in relazione con il bisogno di crescita dei figli, che stimoli, che input, che rimandi, che provocazioni offri perché loro possano farsi le proprie domande, vivere le proprie esperienze, costruire la propria autonomia, il proprio senso di sé.
È chiaro che siamo in un contesto culturale molto in crisi sul piano relazionale. Quando si sceglie la genitorialità, all’inizio sembra tutto bello, ma poi ci si scontra con la realtà: un figlio non è un Cicciobello. È una persona. Un individuo che entra in relazione con te, in modo asimmetrico, perché è più piccolo, e questo porta con sé una serie di aspetti interessantissimi per entrambe le parti. Ma si gioca tutto sulla relazione: se io, genitore, non ho fatto bene i conti con la mia parte adulta, con la mia relazione, con la mia storia educativa – come direbbe il pedagogista Daniele Novara – rischio di riversare tutto questo nel legame genitoriale. Allora occorre domandarsi: cosa non sto cogliendo in questa relazione? Qual è il bisogno che emerge? Cosa mi chiede di cambiare, nel modo di ascoltare, osservare, fare o non fare?
Essere genitori significa anche riconoscere che, a volte, bisogna prendere posizione, e altre volte no. Talvolta si coglie un bisogno, ma non spetta a noi risolverlo: si può restituire al figlio con uno sguardo che dice “Adesso come te la giochi?”. È un processo complicato e complesso, ma al tempo stesso molto interessante, anche dal punto di vista dell’adulto che, inserito in un contesto sociale, ricopre comunque un ruolo educativo. Non solo se è un insegnante o un educatore: ogni adulto che, nel proprio quotidiano, entra in relazione con i minori, trasmette qualcosa: la postura, il modo in cui ascolta, in cui guarda, possono offrire all’altro la possibilità di cogliere, rendersi conto, scoprire, sentirsi accolto, visto.
Oggi tutto corre veloce, si stravolge. La generazione dei miei genitori viveva un tempo diverso, più lento, dove le cose cambiavano meno rapidamente. Vi erano meno bisogni educativi e una situazione diversa nei contesti sociali. Oggi non è più così e dobbiamo essere da una parte molto più attenti, dall’altra molto più creativi. Per questo è così importante lavorare sulla nostra parte adulta, sul confronto, l’ascolto, il rispetto reciproco.